LE SCUOLE PARITARIE E I "MUSCOLI" DELLO STATO
LE SCUOLE PARITARIE E I «MUSCOLI» DELLO STATO
di GIOVANNI COMINELLI da L’eco di Bergamo 28 luglio 2015
Dunque: secondo la Corte di Cassazione, le attività educative delle scuole pubbliche paritarie
sono da considerarsi «commerciali». E perciò debbono pagare l’Ici. La Conferenza episcopale protesta e fa notare che di questo passo le scuole cattoliche andranno verso la chiusura, come già
accaduto per molte altre. Si tratta dell’ennesimo scontro tra laici e cattolici, che si prolunga malinconicamente da un secolo e mezzo, sul tema decisivo della libertà di educazione. I termini
sono noti: solo gli alunni della scuola statale hanno diritto alla gratuità del servizio. Ciascuno costa allo Stato circa sette mila euro all’anno. E se un genitore sceglie una scuola non statale? Sono affari suoi. Poiché allo Stato un alunno paritario costa cinquecento euro all’anno, il resto è aggiunto dalla retta del genitore. Lo Stato risparmia miliardi. E questo sarebbe il commercio!
Inutile ribattere e controbattere con ogni argomento di buon senso. La sentenza non fa che riproporre un grumo ideologico del cervello sociale, che viene dalla Rivoluzione francese del 1789, che è passato nell’Italia liberale unitaria, che è stato indurito dal fascismo, che non è stato sciolto dalla Repubblica e che ha trovato nell’art. 33 della Costituzione – per quanto passibile di interpretazioni opposte - la sua consacrazione: che lo Stato è l’unico titolare dell’educazione.
Secondo lo Stato la famiglia non è un soggetto educativo affidabile, né da sola né associata con altre famiglie. Né lo sono le comunità culturali e religiose. Solo lo Stato garantisce la costruzione della cittadinanza e l’integrazione dei singoli nella società e nella comunità nazionale. Il ragionamento di Hegel, ideologo dello Stato prussiano e ammiratore di Napoleone, è radicale: la persona per diventare cittadino di Stato deve depurarsi delle proprie singolarità. La società civile può «stare insieme» solo attraverso lo Stato; la nazione si realizza solo nello Stato. Insomma: la statualità è il nuovo legame, la nuova «religio» – che lega orizzontalmente gli esseri umani, legandoli verticalmente a Dio. Lo Stato ha preso il posto di Dio. Ora, cosa trasforma una persona in cittadino-società-Stato? L’educazione. Solo che educare implica un’idea di persona, di società, di stato: perciò lo Stato educatore dispone, anche quando rivendica la neutralità ideologica, di una propria ideologia, che respiriamo come l’aria e di cui non ci accorgiamo. Un’ideologia incarnata non solo nei programmi, ma nell’organizzazione istituzionale e amministrativa. Un grande marxista, Louis Althusser, definiva lucidamente la scuola come «apparato ideologico di Stato». Questo è il senso comune che ha permeato le istituzioni, la cultura, la scuola, l’opinione pubblica. A questo fragile bastione continuano ad afferrarsi oggi quanti sono preoccupati del venire avanti, nel fiume della globalizzazione, di una società di minoranze – culturali, etniche e religiose - alle quali annettono una valenza divisiva, quasi che la fede religiosa fosse di per sé motore di conflitto. Si può costruire un assetto civile, non stato-centrico, dell’educazione? Occorre riconoscere alle famiglie il diritto/dovere di far crescere le persone-cittadini, di trasmettere «il sapere di civiltà». Occorre riconoscere alle famiglie, alle comunità sociali, culturali, religiose il diritto di istituire scuole o di scegliere la scuola che preferiscono. Tocca al Parlamento fissare la tavola dei valori condivisi, i parametri delle competenze europee del sapere di cittadinanza. Tocca al governo garantire il diritto allo studio per ciascun ragazzo, quale che sia la scuola che frequenti. Negare i soldi agli alunni delle scuole paritarie e poi accusarle di diventare scuole per ricchi è doppiezza intellettualmente disonesta.