Dalla parte degli ebrei e dei palestinesi… senza se e senza ma senza confusione nelle responsabilità

12.02.2025 17:06

La guerra è un conflitto tra due o più gruppi che possono essere Stati, nazioni, fazioni politiche o religiose.

Si tratta di una forma di violenza estrema che utilizza armamenti e militari per raggiungere obiettivi di tipo politico, economico o territoriale.

Diversi letterati e filosofi hanno trattato la guerra su diversi piani. Essa è considerata a puro titolo esemplificativo:

  • Condizione insita nella natura umana che porta ad un conflitto di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes – Hobbes).
  • Condizione che deve essere superata attraverso la ragione e il progresso morale (Kant).
  • Condizione di progresso che contribuisce allo sviluppo dello spirito umano (Hegel). Questo filosofo non glorifica la guerra ma la considera una espressione della volontà collettiva e una forza che stimola il cambiamento storico.
  • Condizione disumana, male assoluto: Dio è pace e vuole la pace. Chi crede in Lui non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti. La guerra, non mi stanco di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre prospettive, ma estingue la speranza (papa Francesco)

Lungi dal voler entrare in questo dibattito che coinvolge anche numerosi altri filosofi e letterati, oltre a quelli citati, intendo semplicemente offrire alcune riflessioni personali prendendo spunto dal più recente conflitto tra Palestina e Israele.

La guerra scoppia dopo il 7 ottobre 2023 per un grave attacco terroristico di Hamas nei confronti di cittadini israeliani che sono deportati ed in buona parte mutilati ed uccisi.

Ma chi è questo terrorista? Hamas nel 2007 ha preso il potere in Palestina grazie a un colpo di Stato. Questo governo non si adopera per favorire la promozione dello sviluppo agricolo, turistico, industriale ma fa ingenti investimenti in armamenti e in gallerie sotterranee per prepararsi ad una guerra contro Israele e/o per difendersi da eventuali attacchi.

A seguito dell’attacco terroristico certo Israele avrebbe dovuto immediatamente rivolgersi alle Nazioni Unite, ma non lo ha fatto perché nutre ben poca fiducia nell’imparzialità di quella istituzione.

Nello statuto di Hamas è prevista la distruzione e la cancellazione di Israele e dunque quest’ultimo ha deciso di anticipare l’avversario rispondendo con la forza a quell’infame incursione terroristica.

A Gaza Israele vuole eliminare la potenza militare di Hamas, colpendo i depositi di armi che si trovano dappertutto, perfino negli ospedali e nelle scuole. E questo a prezzo di un numero molto grande di vittime civili.

Si segnala anche che Hamas rendeva difficoltoso al popolo palestinese la fuga dai bombardamenti. Diversi cittadini della Palestina diventano, loro malgrado, scudi umani.

Distruzioni, panico, sofferenza si diffondono pure in Israele perché viene attaccato con droni e missili. Il dolore colpisce gravemente le famiglie dei giovani sequestrati.

Ci si chiede se la ragione stia dunque solo tutta da una parte. Molto probabilmente no. E’ stato troppo grande il sacrificio umano palestinese se confrontato con il numero dei deportati e dei morti israeliani.

Subito dopo l’incursione terroristica del 7 ottobre e prima ancora dell’attacco israeliano nella striscia di Gaza molteplici manifestazioni pro Palestina si sono svolte in Europa e negli Stati Uniti d’America. Anche in Italia si è arrivati a bruciare le bandiere israeliane.

E’ un fenomeno chiamato fanatismo. Chi lo professa senza sapere le ragioni del dissidio manifesta la propria vicinanza ai palestinesi e molto probabilmente contro l’Occidente e gli Stati Uniti secondo ideologie non motivate da razionalità.

Nel notiziario del 6 ottobre della nostra Parrocchia (Ss Gervaso e Protaso) si segnalava in una comunicazione intitolata “Il pericolo del fanatismo” quanto segue:

“Israele e Palestina non troveranno pace finché non accetteranno di non avere il monopolio della sofferenza, finché non daranno credito alla sofferenza dell’altro, magari raccontandoselo, mettendolo in parole, ascoltando le parole dell’altro. Finché continui a dire ‘soltanto noi abbiamo sofferto, abbiamo preso sberle, soltanto noi abbiamo subito dei torti,’ non si incontreranno mai (Amos Oz, una pantera in cantina)”.

Non sono i palestinesi a volere la guerra ma altre potenze alle quali fa comodo vedere Israele cancellato dal pianeta.

A Gerusalemme qualche anno fa avevo sentito dire da un conferenziere : “non è la gente comune (palestinesi e israeliani) a voler la guerra, ma i loro capi”.

La pace vera e duratura si ottiene anzitutto se tutte le parti coinvolte nel conflitto sono disposte al dialogo mettendo sul tavolo non solo i propri diritti ma anche le proprie sofferenze con la massima trasparenza e disponibilità nei confronti dei convenuti.

Il dettato evangelico “se uno ti percuote la guancia destra, porgigli anche l’altra” si concretizza se ognuno è capace di rinunciare a qualche suo diritto rivendicato e giungere ad un compromesso rinegoziando il tutto. Se si parte con l’idea che ognuno debba conservare tutti i suoi diritti reclamati non si arriva alla pace.

La rinuncia a qualcosa deve poi essere animata da amore per l’altro (per il nemico) basandosi sul reciproco perdono.

AMettiamoci in ascolto dei testimoni di pace:

Il cardinal Martini scriveva nell’omelia durante la veglia per la pace organizzata dai giovani di A.C. in Duomo, il 29 gennaio 1991

Io lo dico e ne do testimonianza: il mio cuore è turbato, la mia coscienza è lacerata, i miei pensieri si smarriscono. Tutti noi, senza fare eccezione tra credenti e non credenti possiamo ripetere: i nostri cuori sono turbati, le nostre coscienze: sono lacerate, i nostri pensieri si smarriscono, le nostre opinioni tendono a dividersi.

Smarrimento e angoscia che non ci coinvolgono solo sul terreno del lutto per i morti, delle lacrime per tutti i feriti, del lamento doloroso per i profughi, per i senza tetto, per coloro che vivono nell’angoscia dei bombardamenti giorno e notte.

Se oggi c’è una guerra non è perché le cose si siano mosse quasi per caso o per sbaglio, pur se ci sono delle responsabilità precise, a cui nessuno potrà sfuggire. C’è una guerra perché, per tanto tempo, si sono seminate situazioni ingiuste, si è sperata la pace trascurando quelli che Giovanni XXIII chiamava “i quattro pilastri della pace”, cioè verità, giustizia, libertà e carità. Ogni colpa pubblica e privata contro questi quattro pilastri, ogni atto di menzogna, ingiustizia, possesso egoista e dominio sull’altro, pregiudizio e odio, hanno scavato la fossa e l’edificio è crollato sotto i nostri occhi.

Perché la pace è un edificio indivisibile, e ciascuno di noi l’ha distrutto per la sua parte di responsabilità.

Naturalmente un simile atteggiamento non calpesta affatto le esigenze della giustizia. Non posso mai mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori della legge e difensori della stessa. Però, quando guardo le persone, nessuna mi è indifferente, per nessuno provo odio o azzardo un giudizio interiore, e neppure scelgo di stare dalla parte di chi soffre per maledire chi fa soffrire.

Paolo VI, un altro grande testimone di pace scrisse:

Signore, noi abbiamo ancora le mani insanguinate dalle ultime guerre mondiali .... Signore, noi siamo oggi tanto armati come non lo siamo mai stati nei secoli prima d’ora e siamo così carichi di strumenti micidiali da potere, in un istante, incendiare la terra e distruggere forse anche l’umanità. Signore, noi abbiamo fondato lo sviluppo e la prosperità di molte nostre industrie colossali sulla demoniaca capacità di produrre armi di tutti i calibri, e tutte rivolte a uccidere e a sterminare gli uomini nostri fratelli; così abbiamo stabilito l’equilibrio crudele dell’economia di tante nazioni potenti sul mercato delle armi alle nazioni povere, prive di aratri, di scuole e di ospedali”.

Signore, noi abbiamo lasciato che rinascessero in noi le ideologie, che rendono nemici gli uomini fra loro: il fanatismo rivoluzionario, l’odio di classe, l’orgoglio nazionalista, l’esclusivismo razziale, le emulazioni tribali, gli egoismi commerciali, gli individualismi gaudenti e indifferenti verso i bisogni altrui.