C'E' UN TEMPO PER TACERE E UN TEMPO PER PARLARE (CARDINALE MARTINI 1995)
C'E' UN TEMPO PER TACERE E UN TEMPO PER PARLARE (Qo 3,7)
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Introduzione
"Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace".
Questo testo biblico, tratto dal libro del Qohelet (3,1-8), viene spesso utilizzato per ricordare la varietà delle vicende umane, il mutare degli scenari della storia e per indicare che per tutte le cose c'è un tempo adatto, che occorre saper individuare con saggezza.
Sant'Ambrogio, che amava i libri sapienziali della Bibbia e che nei suoi scritti ha citato almeno una ventina di volte il libro del Qohelet, che egli chiamava -secondo la tradizione latina- l'Ecclesiaste, ha riportato questo testo quasi per intero nel suo scritto su Tobia: "I semi si aprono nella loro stagione, gli animali partoriscono nella loro stagione. Infatti 'c'è un tempo per partorire e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è stato piantato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire'; e più oltre: 'C'è un tempo per guadagnare e un tempo per restituire, un tempo per conservare e un tempo per gettare via"' (De Tobia,13).
Qui Ambrogio non cita però l'espressione che a me più interessa e cioè la frase: 'C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare'. Ma in altre opere affronta espressamente il tema delle condizioni della parola e del silenzio in termini molto espliciti (cfr. De officiis, Dei doveri, I,9).
E, pochi giorni prima della sua morte, nel 397 (ci prepariamo a celebrare solennemente questo decimosesto centenario a partire dal prossimo anno 1996), scrive nella Spiegazione del salmo 43 :
"C'è un tempo adatto per tutto: un tempo per tacere e un tempo per parlare. Devi tacere quando non trovi un interlocutore disponibile; devi parlare quando il Signore ti concede una lingua sapiente, così da rendere efficace il tuo discorso nel cuore dei tuoi ascoltatori" (Explanatio Psalmi XLIII, 72).
Il testo del Qohelet era anche ben presente al nostro Arcivescovo il Cardinale Ildefonso Schuster, che il 12 maggio 1996 potremo venerare come Beato. Lo cita fin da una lettera del 1909 a un suo confratello monaco, con le parole: "Tempus aedificanti et tempus spargendi lapides: Quale dei due è il nostro?" (Lettere dell'amicizia, 91). E' dunque una parola biblica che ha sempre invitato al discernimento.
La situazione attuale interpella la Chiesa
Ho voluto ricordare il brano del Qohelet perché in questi ultimi tempi, a seguito delle vicende politiche che hanno fortemente mutato i quadri abituali di riferimento, si è fatto più volte accenno ad una certa 'afasia' della Chiesa, quasi che la Chiesa non:sapesse più bene cosa dire, avesse scelto di tacere e si fosse messa alla finestra ad aspettare lo svolgersi delle vicende.
Tale imputazione di silenzio spiega l'attenzione prestata dall'opinione pubblica al recente Convegno della Chiesa italiana tenutosi a Palermo, dove il Papa è poi il Cardinale Presidente della C.E.I. e le stesse relazioni degli ambiti sono intervenuti per indicare quale sia l'orientamento della comunità ecclesiale in questo momento delicato.
Infatti la situazione attuale richiede che la Chiesa dica chiaramente su quali temi intende tacere, perché non sono di sua immediata competenza, e su quali invece intende parlare in quanto toccano la sua missione.
Il discorso del Papa a Palermo è molto chiaro ed esplicito al riguardo: "La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale che sia rispettosa dell'autentica democrazia".
In questo senso la Chiesa preferisce tacere, lasciando ai laici cristiani di esprimersi secondo la loro coscienza e competenza. Tuttavia la Chiesa non deve solo tacere, ma deve anche parlare. Continua il Papa: "Ciò nulla ha a che fare con una 'diaspora' culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede".
Si tratta quindi, per la Chiesa, di tacere su quanto riguarda scelte immediate di schieramenti, e di parlare invece su quanto riguarda i principi etici che reggono le scelte politiche. Occorre infatti evitare due errori in cui possono cadere i cattolici italiani nel momento presente: quello della depressione o sterile lamentazione o irritazione per una loro minor influenza nella società inseguendo magari sogni di forme di presenza obsolete?, e quello del farsi da parte o del rinchiudersi nella critica della modernità. La serena accettazione di essere minoranza richiede, anzitutto, che si traggano tutte le conseguenze, di mentalità e operative, di quella che un tempo fu chiamata la scelta religiosa, da riproporre in modo adatto alle nuove circostanze come scelta evangelica e profetica, come affermazione del primato di Dio e dell'evangelo e delle sue conseguenze per il bene della comunità umana. Nel Convegno di Palermo si è affermato: "Abbiamo necessità di credenti e di comunità che imparino con sapienza e perseveranza ad esercitare la profezia nelle situazioni in cui vivono e testimoniano la loro fede... L'esercizio dello Spirito di profezia, che è in ogni credente, ci consente di incidere già oggi, con una testimonianza genuina del vangelo della carità, nei cambiamenti di domani" (Ambito n.5, Sintesi).
E' necessario, da una parte, prendere atto che non è dato oggi di per seguire l'obiettivo di cristianizzazione della società con strumenti forti del potere; dall'altra, preservare con la massima cura e quasi gelosia la differenza e la peculiarità della Parola cristiana rispetto alle parole correnti, sapendo che proprio così la Parola sarà efficace anche per la salvaguardia e la promozione dell'ethos pubblico di una nazione.
E' richiesto un intervento di tipo etico poiché, nelle scelte politiche che ci stanno davanti, è a rischio non la sopravvivenza della Chiesa in quanto tale, bensì la sopravvivenza del costume cristiano, dell'ethos evangelico, e in ultima analisi di quell'ethos civile condiviso che sta alla base di ogni società democratica. A me sembra che questo intervento debba riguardare i metodi della politica prima dei contenuti contrassegnati pur da particolari valenze etiche (come la vita, la famiglia, il lavoro, la scuola ecc.).Tali valori singoli sono importanti, però oggi c'è il rischio che essi e molti altri vengano messi in pericolo da un metodo generale di fare politica.
Voglio esporre più chiaramente il mio pensiero in due punti, rispondendo a due domande:
- perché la Chiesa non deve tacere oggi su temi etici che sottostar,no ai meccanismi generali e ai modi dell'agire politico?
- come e a quali condizioni la Chiesa può svolgere questo compito?
I - PERCHÉ LA CHIESA NON DEVE TACERE OGGI?
Direi, in sintesi, che la Chiesa non deve tacere perché è in gioco ethos politico. Non è la Chiesa ad essere in pericolo; è la natura stessa della politica e quindi della democrazia e, in ultima analisi, del costume sociale che sta alla base della democrazia. Lo mostrano diversi fenomeni e ne richiamo alcuni.
1) L'emergere di una certa defigurazione del primato del soggetto, che si traduce in un privilegio di fatto per chi sa rivendicare, con la forza del suo peso economico e sociale, i propri diritti individuali o di gruppo. Si tratta di un atteggiamento che contesta la funzione dello Stato nella tutela dei più deboli e alla fine mette a rischio lo stesso patto sociale che sottostà alla Costituzione, a vantaggio di assetti contrattuali più facili a piegarsi alle convenienze e alle maggioranze del momento.
2) La fortuna, nell'opinione pubblica e nel costume, di una logica decisionistica che non rispetta le esigenze di una paziente maturazione del consenso o che cerca di estorcerlo con il plebiscito generalizzato o si illude di operare col sondaggio dei desideri, semplificando la complessità della politica, dei suoi tempi e delle sue mediazioni.
3) Il farsi strada di un liberismo utilitaristico che non mette ordine nelle attese e nei bisogni secondo una gerarchia di valori, ma eleva il profitto e l'efficienza o la competitività a fine, subordinando ad essa le ragioni della solidarietà.
4) C'è un crescendo della politica fatta spettacolo, fatta scontro verbale accompagnato anche da minacce; una politica intesa come luogo del successo e palcoscenico di personaggi vincenti, che richiedono deleghe a governare non sulla base di programmi vagliati e credibili, bensì sulla base di promesse o prospettive generiche.
5) C'è, da ultimo, una logica della conflittualità che tutto intende nel quadro della relazione amico-nemico, dove con l'amico si ha tutto in comune, col nemico nulla. Tale contrapposizione sarebbe la sola capace di stabilire correttamente minoranze e maggioranze e di sconfiggere la degenerazione consociativistica. Il consociativismo, accordo spartitorio di potere che non ricerca valori comuni da far crescere insieme, ma spazi da gestire da questa o da quella forza politica, va ben distinto dalla ricerca di valori presenti in varie forze, in vista di una compattazione della città.
In una logica di conflittualità, chi vince si sente invece autorizzato a prescindere del tutto dalle ragioni dell'altro semplicemente perché ha vinto.
Ne segue un costume politico che non si confronta, che non cerca il dialogo in vista della verità, che intende il governare come pura decisione presa da chi ha la maggioranza e basta 0 come decisione affidata alle sorti emotive di un plebiscito. Anche se bisogna ammettere che il conflitto politico -in un quadro democratico e rispettoso dei diritti di tutti- è un passaggio necessario e in qualche modo inevitabile, esso non può essere visto quale strumento ordinario di governo e men che mai un bene o un fine in se stesso: perché il fine è sempre lo shalòm, la pace.
Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio, e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza. Non basta dire che non si è né l'uno né l'altro, per essere a posto; non è lecito pensare di poter scegliere indifferentemente, al momento opportuno, l'uno o l'altro a seconda dei vantaggi che vengono offerti. E' questo un tempo in cui occorre aiutare a discernere la qualità morale insita non solo nelle singole scelte politiche, bensì anche nel modo generale di farle e nella concezione dell'agire politico che esse implicano. Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell'uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia.
II - MODALITA' E CONDIZIONI DEL PARLARE OGGI
Quali sono i contesti, le modalità, le condizioni nelle quali è possibile oggi per la Chiesa svolgere con modestia e insieme con efficacia e verità il suo compito in tale ambito?
Vorrei elencare dieci di queste condizioni, quasi un decalogo delle buone maniere per parlare oggi di politica, una lista di dieci opzioni da consolidare per guardare con fiducia al futuro. Sono opzioni che privilegiano rispettivamente uno sguardo disincantato e fiducioso sulla società e una scelta profetica ed evangelica, che mettono in luce una coscienza sociale, che esprimono un riconoscimento della necessità della politica e di una corretta metodologia dell'agire politico, in vista di concrete proposte di traduzione di valori da elaborarsi in luoghi di dialogo e giungendo a criteri comuni di base, con una priorità formativa e un sostegno dato da una rete di relazioni gratuite e amicali capaci di motivare un forte investimento di persone.
Riprendo più specificamente i punti del decalogo.
1) La Chiesa deve anzitutto saper guardare alla modernità e alla postmodernità con occhi critici e disincantati, conscia della fragilità e ambiguità di questo processo, ma riconoscendo che in esso vi è pure spazio per la valorizzazione della libertà e dell'autonomia dell'uomo a lode di Dio.
2) Un rinnovato discorso sulla politica da parte della Chiesa deve partire da quella scelta evangelica e profetica, un tempo detta scelta religiosa, che è affermazione del primato di Dio e dell'evangelo. Essa non significa un ritrarsi nel sacro; significa piuttosto un ricordare a tutti che la natura e il destino dell'uomo eccedono sempre qualsiasi scelta contingente e quindi anche ogni scelta politica.
Ogni assetto sociale ha carattere di precarietà e di provvisorietà; al di là di tutti i conflitti, deve potersi proclamare quel primato dell'amicizia che già Aristotele considerava come il succo e la base dell'attività politica. Ogni uomo e ogni donna va rispettato e amato al di là delle sue scelte politiche, perché fatto a immagine del Dio vivente.
Per questo le "parole chiave" o "parole d'ordine" che via via sono venute emergendo nel cattolicesimo italiano -a partire dal postconcilio- per indicare i diversi aspetti dei rapporti tra Chiesa e attività politica ("scelta religiosa", impegno nel "prepolitico", impegno nella "cultura", "progetto" o "prospettiva culturale" ecc.~) sono in realtà tutte forme che presuppongono il primato di Dio, del suo vangelo, dell'azione evangelizzatrice quale compito primario della Chiesa, e cercano di cogliere via via come in un tale quadro debba collocarsi l'agire dei cattolici nel paese per esprimere efficacemente in esso, nella mentalità corrente e nelle istituzioni, i valori riguardanti l'uomo che provengono dalla luce della fede.
Le formule potranno variare a seconda dei tempi, ma è chiaro che solo una riproposta continua e instancabile del primato di Dio e dell'evangelo sarà quella che avrà la forza di generare e specificare di volta in volta le forme e i modi di presenza dei cattolici nella società che siano rispettosi del metodo democratico e che meglio corrispondano ai bisogni del momento e meglio servano al bene complessivo dell'uomo che è gloria del Dio vivente. "La Chiesa infatti -afferma il Vaticano II di cui ricorre il prossimo 8 dicembre il XXX anniversario della conclusione- crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione" (Gaudium et Spes, n.21).
3) Un contesto importante di partenza per un nuovo discorso politico è la presa di coscienza del patrimonio sociale e caritativo della comunità cristiana e della sua forza di lievito della società. Nel recente Convegno di Palermo questa coscienza è emersa con lucidità, come pure il modo con cui tale patrimonio va gestito a beneficio di tutti. "La cultura della solidarietà e della compassione rappresenta un contributo dei cristiani alla coscienza nazionale. Questa cultura inserisce l'istanza di comunione nell'economia; orienta l'ethos nazionale nel senso di una maggiore sensibilità al bisogno dei poveri della nostra società e di quelli del Sud del mondo; anzi li inserisce" (Ambito III). I luoghi della solidarietà cristiana non sono luoghi dove si pratica un altruismo di gruppo, né luoghi chiusi e separati, ma modelli di riferimento e non di rado esprimono progetti anticipativi per io stesso intervento pubblico.
4) Premesso quanto si è detto, occorre tuttavia prendere viva coscienza dell'insufficienza del momento sociale e caritativo e della necessità e della validità del momento politico, quale momento sintetico delle virtù sociali e civili, quale forma esigente di carità, secondo l'espressione di Paolo VI.
"I cattolici non sono una 'realtà a parte' del Paese -ha dichiarato a Palermo l'Ambito II impegnato nell'analisi dell'impegno sociale e politico-. Essi intendono rinnovare il loro servizio alla società e allo Stato alla luce della loro tradizione culturale e civile, della dottrina sociale della Chiesa e delle numerose testimonianze di carità politica, alcune giunte sino al martirio".
5) In questo quadro risulta valida ed efficace la sottolineatura del corretto modo dell'agire politico. Occorre evitare i due estremi o della precipitosa ed immediata traduzione in politica di valori cristiani in quanto tali, con forme di tipo integristico; oppure dell'oblìo pratico di questi valori in nome di una Realpolitik, che accetta ogni tipo di compromesso in vista di alcuni vantaggi immediati.
Siamo in una situazione pluralistica e complessa, dove ciò che consideriamo come bene anche morale non sempre può essere tradotto immediatamente in legge, perché si devono fare i conti col consenso di molti. Bisogna dunque saper mettere in bilancio una sapiente gradualità. E, specialmente in un'epoca di caduta di evidenze etiche quale la nostra, può accadere che neppure il valore che a qualcuno pare preminente possa essere politicamente proposto per primo e diventare senz'altro norma cogente, qualora la sua imposizione fosse tale da provocare una deflagrazione della convivenza. Quanto più un valore è eticamente rilevante, tanto più è impegnativo e perciò più bisognoso di maturazione a livello di costume.
Occorre allora distinguere una promozione della mentalità e del sentire comune, che convince dell'importanza di un valore per la collettività con buone ragioni ed esempi trainanti, dalla sua traduzione legislativa che esige essersi raggiunta una base sufficiente di consenso.
6) Di qui deve nascere la capacità di saper elaborare in proposte politiche i valori discendenti dal patrimonio di fede. Non basta aggredire i problemi con dichiarazioni di principio, se non si individuano strumenti di traduzione pratica che possono essere condivisi. E in ciò vale più la proposta di cammini positivi, pur se graduali, che non la chiusura su dei "no" che, alla lunga, rimangono sterili.
Non basta, ad esempio, proclamare il valore della famiglia ed esigere una legislazione che la promuova e che prevenga i danni gravissimi che porta alla società la dissoluzione del vincolo familiare, se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse e che fa parte della stessa società civile.
Ugualmente non basta proclamare il valore primario della vita nella sua integralità,se non si cercano anche strade politiche condivise che favoriscano l'amore alla vita con la creazione di condizioni sociali favorevoli alle giovani coppie, al sostegno delle condizioni della donna, alla politica della casa, alla diminuzione del peso fiscale per chi vuole allietare la società di nuove vite. Non ogni lentezza nel procedere è necessariamente un cedimento. C'è pure il rischio che, pretendendo l'ottimo, si lasci regredire la situazione a livelli sempre meno umani.
Questo della mediazione antropologico etica è forse uno dei lavori più importanti e urgenti dei cristiani impegnati in politica ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi. I principi della fede devono essere trasformati in valori per l'uomo e per la città, devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili. E' necessario attuare il passaggio dalla frammentazione (derivante dal fatto che ogni scelta politica sarebbe ormai per il cristiano legittima solo per essere posta da chi si dichiara cristiano o comunque rispettoso dei valori, a prescindere da ogni valutazione di coerenza) a scelte politiche che si pongono il problema della coerenza e ne sanno dare ragione.
7) A questo scopo occorre offrire momenti di dialogo in cui i cristiani, come tali, possano dibattere e dar ragione delle proprie scelte politiche. E' un'esigenza espressa con forza nel Convegno di Palermo. "E' più che mai necessario -ha detto il Papa- educarsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale, ma anche comunitario, che consenta ai fratelli di fede, pur collocati in diverse formazioni politiche, di dialogare, aiutandosi reciprocamente a operare in lineare coerenza con i comuni valori professati". E il Cardinale Ruini ha affermato: "Si tratta ora di favorire la crescita di luoghi e di momenti in cui il discernimento possa divenire più specifico~e~concreto, anzitutto da parte di chi opera in politica".
8) Da tali incontri e dialoghi potranno nascere criteri di base sempre più concreti per ogni discernimento politico: essi ricorderanno, ad esempio, la tutela delle vecchie e nuove situazioni di debolezza; la difesa di volta in volta di quel valore umano che si intuirà essere particolarmente a rischio in un dato momento; l'attenzione a quei temi maggiori richiamati dal discorso del Papa a Palermo riguardanti "i principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace" (n.10).
9) Sul piano ecclesiale ciò comporta la ripresa di un discorso formativo che attinga alle fonti genuine della rivelazione e sia radicato in una comunità plasmata dal vangelo. "La Chiesa che è in Italia -ha detto ancora il Papa- si sente interpellata a lasciarsi plasmare dall'ascolto della parola di Dio, alimentandosi e purificandosi continuamente alle fonti della liturgia e della preghiera personale" . Si sente spinta non solo a formare i suoi figli, ma a lasciar si formare essa stessa vivendo al suo interno secondo modelli di relazioni fondate sul vangelo, secondo quelle modalità che nella mia ultima lettera pastorale Ripartiamo da Dio! ho indicato come capaci di esprimere una comunità alternativa. Cioè una comunità che, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco.
10) Infine, va sottolineata la particolare importanza e il ruolo determinante del laicato in questo processo di rinnovamento della presenza della Chiesa nella società. La Chiesa è più che mai in grado di 'scommettere' sulla maturità e sullo spirito di responsabilità dei suoi laici, come è ben apparso dall'importante e responsabile contributo che tanti battezzati, uomini e donne, di ogni età e condizione sociale, hanno dato alla buona riuscita del Convegno di Palermo. Ma scommettere vuol dire pure mettere nel conto, sul versante della politica, la libertà dei laici di assumere dei rischi calcolati. I1 Papa ha anche invitato, nel suo discorso a Palermo, a "non fuggire la Croce", a "non lasciarsi abbattere dagli apparenti insuccessi", a "non abdicare mai alla difesa dell'uomo".
Il nostro potrebbe sembrare un tempo complesso e difficile, nel quale si fatica ad orientarsi su ciò che occorre tacere e su ciò che occorre dire. Tuttavia il nostro patrono sant' Ambrogio visse in tempi più calamitosi e difficili, in cui il corretto rapporto con la società e le sue drammatiche divisioni e con l'Impero, costringeva a continui e faticosi discernimenti. Confidiamo dunque che Ambrogio interceda per noi pure in momenti come questi. Noi ci prepariamo a celebrare il nostro patrono in un grande anno santambrosiano, che avrà inizio a sant'Ambrogio del 1996 e che ricorderà il decimosesto centenario della sua morte (4 aprile 397).
E voglio ricordare un altro centenario di una Chiesa sorella, anch'essa antichissima: la Chiesa di Vercelli, il cui Arcivescovo è presente tra noi questa sera con le Autorità civili e il Capitolo, e che saluto con viva cordialità.
Vercelli celebra quest'anno il 1650° anniversario dell'ordinazione episcopale del suo primo Vescovo sant'Eusebio (avvenuta nel dicembre 345). Ambrogio stimava molto Eusebio e ne scrisse le lodi in una lettera alla Chiesa di Vercelli; egli vedeva in Eusebio, morto nel 371, un esempio di Vescovo intrepido che, in tempi difficili, aveva retto con saggezza la sua Chiesa. Invochiamo entrambi i due patroni affinché ci ottengano la saggezza di saper tacere quando conviene e di saper parlare senza timori umani, per il bene del nostro popolo e delle nostre città.